Ulysses di Joyce nel film di Strick

Immaginerete cosa ho fatto dato il mio attuale interesse per Joyce e Ulysses. Mi sono procurato dall’Inghilterra il DVD del film di Joseph Strick del 1967, l’unico, a quanto ne so, mai derivato da questo romanzo. Un mio piccolo vanto è di averlo visto subito dopo l’uscita in originale (ma è mai arrivato nelle sale italiane, e doppiato?). Ricordo che all’epoca il mio professore di matematica al liceo, che si chiamava Giovannino Ieri, e che amava tutto ciò che sapeva di trasgressivo e di scandaloso, ce ne aveva  a lungo parlato. Nell’estate del 1967 io, diciottenne, ero a Londra dove facevo il cameriere al Dino’s Restaurant, soprattutto perché volevo migliorare l’inglese, anche se l’idea di fare l’anglista non mi sfiorava nemmeno il cervello (questi dettagli sono amplificati nel mio libro Pentapoli). Andai a vederlo in un cinema di Leicester Square, non capendo quasi nulla né della trama né della lingua. Ma ne tornai con la copia della Bodley Head che ho ancora, sopraccoperta con un’inquadratura del film.
Rivista oggi la pellicola è innanzi tutto immacolata, di un bianco e nero esemplare e netto. Non è questo il luogo per dilungarsi. Il regista ha fatto un lavoro egregio, e meglio di così era difficile. Naturalmente da Ulysses  si potrebbero trarre diciotto film (uno per ciascun episodio) o almeno tre, le scansioni di Joyce, perché non si parli fatalmente di una drastica riduzione, di un eccessivo sfoltimento. Il casting è molto buono:  O’Shea come Bloom è ideale, superbo, insuperabile, ottimi gli attori che fanno Mulligan e Molly, un po’ meno quello che fa Stephen, che è meno cupo, terreo e ossessionato che nel romanzo.
Strick ha fatto quello che fa un turista in visita alla grande città d’arte: divide le ore a disposizione per ogni monumento, e alcuni li salta del tutto per ragioni di forza maggiore.  Vediamo meglio. La prima mezzora è il momento migliore del film, dove Strick sa intelligentemente incastrare la colazione di Bloom del quarto episodio dentro quella di Stephen del primo, nel quale primo si ha un accenno della discussione dell’Amleto in biblioteca, che sarà del tutto saltata. Deasy il preside me lo figuravo più tarchiato, più gaglioffo, soprattutto più vecchio. Gli inconvenienti sono che il dialogo è e non può che essere troppo schematico, e alcuni celeberrimi e irrinunciabili aforismi vengono pronunciati in modo abrupto e poco motivato (“I paid my way”; “History, Stephen said, is a nightmare from which I am trying to awake”). I nodi cominciano ad arrivare al pettine con lo sviluppo: saltato è l’episodio quinto della lettera (abolita dal film Martha Clifford, come è ovvio dozzine di altri personaggi minori), della lozione non comprata, della saponetta in farmacia, del bagno; troppo sbrigativo il settimo (ma c’è la battuta imperdibile “He can kiss my royal Irish arse”). Di qui in avanti il regista ha avuto ancora più fretta, se non ha soppresso di sana pianta: niente Simplegadi, niente Biblioteca (ma sì le “statue greche”); più avanti niente Rifugio del vetturino; le varie refezioni amalgamate le une nelle altre. Il polistilismo dell’ospedale non poteva nemmeno pallidamente essere transcodificato al cinema.  La scelta più discutibile e negativa del film è a mio avviso l’episodio di Gerty: durerà in tutto un minuto, è troppo fulmineo e soprattutto meccanico, girato con l’acceleratore: Bloom passeggia sul lungomare e scorge su un sasso una bella, invitante ragazzina dai capelli rossi che tiene le sottane un po’ alzate e dondolandosi gli fa intravedere cosa c’è sotto, e Bloom in quattro e quattr’otto si eccita; poi passa oltre. Nel romanzo, come si sa, questo clou è molto ma molto dilazionato. Circe poteva essere un film nel film, e anche il più bravo regista avrebbe avuto un compito impossibile; le variazioni e allucinazioni surrealiste lasciano qui parecchio a desiderare. Ma il film di Strick si risolleva nei due episodi finali, e quello della cucina, catechistico, riesce bene utilizzando con intelligenza la voce fuori campo. Un altro pezzo da regista di razza è la chiusura sul monologo di Molly.
Ho steso ovviamente semplici note immediate che forse amplificherò. Aggiungo che poi, all’università, di Ulysses mi sarei invaghito grazie al professor Pagnini, che vi tenne un corso. Sulla sua opera è appena uscito un mio saggio bibliografico: Il critico ben temperato. Saggio bibliografico sull’opera di Marcello Pagnini, “Rivista di Letterature moderne e comparate”, LXIV, 2, 2011, 207-223.

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3 risposte a Ulysses di Joyce nel film di Strick

  1. Flora Turini ha detto:

    Perché è così difficile dire mi piace su wordpress? Ho 3account wordpress ma non posso usali perchè non mi riconosce mai le passwords

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  2. francomarucci ha detto:

    Beh grazie di avermi letto e complimenti per la tua/sua produttività: qui da me non so quanti sono i post su Joyce in una rosa di aspetti della sua produzione… A risentirci, spero.

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