Kubrick “De bello gallico”

Siamo giunti a Paths of Glory (1957), ovvero Orizzonti di gloria: un titolo ben tradotto, anzitutto, una buona volta, ed era difficile sbagliarlo, e riproduzione di un uso dell’ironia o del sarcasmo cui Kubrick si affiderà in seguito. Pochi gli elementi di continuità e di conferma in questo quarto opus. Varie le novità. Film, ad esempio, praticamente o del tutto senza ruoli femminili protagonistici: il motore primo non è l’amore di un uomo per una donna, non è il romanticismo dell’amore ad animare la trama. Primo film con una star acclamata, Douglas, inoltre. Ma sempre e ininterrottamente film nato e derivato da un copione letterario. Per trovare un aggancio evidente bisogna risalire al primo film ripudiato di Kubrick: inizia ovvero riprende qui il filone primario, o uno, di Kubrick, la riflessione sulla guerra, ma non nei toni di un apologo fantascientifico e surreale e nemmeno in quello della farsa grottesca, come varie volte in seguito. Questo è cinema che studia un episodio reale e infame del “bellum gallicum”, ovvero della guerra 15-18, fronte franco-tedesco, isolandone un episodio storico famigerato ed emblematico. Film che ha una volta tanto in Kubrick una tesi visibile e forte: film contro la retorica della guerra o meglio si direbbe il codice militare senza tempo, e della assurda logica o contro-logica bellicista. Documento quindi che si inserisce nell’area del vastissimo mito artistico di quella guerra ma che diventa poi una requisitoria contro la guerra tout court. In realtà però Kubrick ripropone per la terza volta un suo iniziale archetipo interno, e lo incassa in questo tema. Il colonnello Dax è fratello di Gordon di Il bacio dell’assassino e di Clay di Rapina a mano armata. Sono tre versioni di una stessa figura, che possiamo identificare nella formula “l’eroe buono che deve compiere un’azione cattiva”. Come tale tenta di redimersi, di conservarsi uomo, optando per una sorta di male minore. Il pugile Gordon, pur un pugile, è essere un pacifico e innocuo, anzi fa alla fine del bene: spara e uccide per legittima difesa e senso di giustizia. Clay rapina facendoci intuire o suggerendo che può essere una specie di Robin Hood moderno; ha la mano armata ma cerca di non uccidere e ha un suo codice etico. Dax è una versione più coscientizzata e militante di questo personaggio.

Ma vediamo come il film si muove. La fase stupenda o più stupenda è la prima, nella quale l’acme è inesorabilmente montata. La dote di Kubrick è ancora e meglio di prima l’assenza di tempi morti, e le sue sono pellicole spedite e di forte tensione: la prima mezzora mette tantissima carne al fuoco senza la minima dispersione. L’avvio mi ha fatto pensare, anche vista la data, a una specie di cinema didattico e politico, così come esisteva all’epoca il teatro di questa specie. Ecco, Orizzonti è dapprima un cinema “teatrale”, impostato come un Lehrstück brechtiano. Le scene devono parlare da sole e comunicare e trasmettere la principale scansione concettuale e la disautomatizzazione: insegnare e provare che la guerra è una sporca faccenda e che i quadri superiori mandano allo sbaraglio senza il minimo rispetto umano poveri soldati ciecamente ubbidienti, in azioni scriteriate votate al massacro e dettate solo dal sogno ovvero… dall’orizzonte della gloria. Proprio per questo impianto statico e teatrale si può anche vedere il canovaccio del film come un adattamento del Macbeth shakespeariano. Macbeth rovesciato in ogni caso, perché Dax subisce le stesse tentazioni del generale scozzese di Shakespeare pur essendo un colonnello, e fermamente le respinge.

Ma vediamo. Nella prima scena un mellifluo ma anche mefistofelico generale di armata, Broulard, convince il generale comandante del 701, Mireau, a lanciare un attacco scriteriato, suicida, del suo reggimento contro il “formicaio” tedesco. Mireau dapprima reagisce sdegnato: come si fa ad attaccare, vi sarebbero perdite ingenti, eppoi giura e mette in chiaro impettito e retorico che ha a cuore  la vita anche di un solo soldato, superiore a ogni altro valore. Ma ecco che l’altro generale gli balena una promozione ambitissima, e la  fermezza di Mireau è erosa. L’attacco si farà. La scena successiva mostra il generale che percorre le trincee bombardate e si complimenta con i soldati istupiditi, li incita ad uccidere altri tedeschi e uno lo schiaffeggia perché codardo. Nella terza scena si dimostra la prima delle debolezze umane, la codardia: non sarebbe un gran male, in fondo è umano avere paura, ma la paura causa ipocrisia e falsità e soprattutto una fifa incontrollabile e dai tragici risultati. Un tenente conduce infatti una sortita notturna di ricognizione vicino al formicaio e preso dalla paura comanda a un soldato di procedere, poi attanagliato e atterrito lancia una bomba a mano che fa saltare per aria il soldato medesimo. Al reggimento il rapporto sull’accaduto è falsato.

Ma ecco nella quarta scena il colonnello Dax, che entra simbolicamente lavandosi la faccia e risultando dunque pulito. In un incontro con i due generali Dax accetta con qualche dubbio di guidare l’assalto: ecco perché dicevo che è dentro la logica della guerra ma vorrebbe chiamarsi fuori e limitare al minimo le sue assurdità. Lui è a favore di una cultura dell’uomo ma è fra due fuochi.

Il film trova la sua cesura alla sua metà con il fallimento totale dello scriteriato attacco al formicaio. Più normali benché sempre economiche e tese le scene inevitabili del processo dall’esito scontato, e della veglia dei tre condannati. Anche normali sono le scene del prete che viene respinto con sarcasmo irreligioso da uno dei condannati, e del condannato pentito come il ladrone della crocifissione, e dello stesso prete che ai condannati sa solo dire frasi di circostanza, perché a differenza di Dax non sa mettere fuori la testa contro l’ingiustizia disumana e la legge della guerra. Epperò Dax mette con le spalle al muro il codardo tenente che non solo ha con la sua paura ammazzato un soldato in ricognizione ma anche scelto, scelta truccata, il soldato semplice per la esecuzione che più gli stava antipatico. Implacabile Kubrick contro le ambiguità e le ipocrisie.

In realtà il film ha un colpo di coda e dopo l’esecuzione si riapre come da zero: Dax viene a sapere dell’ordine pur non eseguito ma dato dal generale Mireau di aprire il fuoco contro le sue stesse truppe a suo giudizio vili e in ritirata durante l’avvenuto assalto. Ora, non si riusciva dopo tutto ad odiare il generale Broulard fino a questo punto, nonostante il losco e mefistofelico operato nella scena di apertura. Il suo ritratto di generale umano e non malvagio, o con qualche dose residua di buon senso, precipita però perché non solo ha acconsentito alla esecuzione capitale, ma crede ora che Dax sia davvero Macbeth, e che la sua denuncia dell’operato di Mireau possa essere tacitata con la sua (di Dax) nomina a generale. Solo Dax ha la incondizionata approvazione di Kubrick e dell’autore interno e implicito, tutto il resto dell’esercito è una sporca dozzina. Appunto Dax si rifiuta e si scaglia contro il superiore.

Tutto rimane alla fine praticamente e tristemente come prima. Spietato e amaro il pessimismo di Kubrick: Dax deve far buon viso a cattivo gioco e accetta di ritornare al fronte. Fine ambigua: sconfessione dell’unico eroe positivo, e dunque lui pure pusillanime, o eroe perdente, o compatimento per una logica della guerra che è imbattibile e ti invischia senza possibilità di fuga?

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